Il concetto di “famiglia allargata” era, a quell’epoca, caro a tutti e addirittura sacrosanto.
Ma come tanti altri aspetti della società cinese tradizionale, anche questo è cambiato radicalmente, lasciando solo uno sbiadito ricordo della famosa frase del poeta Laoshe, divenuta anche il titolo di una sua opera, “Quattro generazioni sotto lo stesso tetto”.
Oggi in Cina avere un solo figlio a famiglia non è più solo una scelta personale, ma è divenuto un obbligo. Nel 1979, infatti, sotto il governo di Deng Xiaoping, è stata promulgata una legge secondo la quale ogni coppia cinese si impegna a non procreare più di un figlio, pena una sanzione da pagare allo Stato di 160 mila yuan (pari a circa 15 mila euro). Impresa impossibile per una modesta famiglia cinese, il cui reddito annuo ammonta a 8 mila yuan (750 euro). Partorire più di un figlio è quindi riservato ad una ristretta cerchia di benestanti, che possono permettersi di pagare tali “multe”. In questo modo il problema del figlio unico si lega ancora una volta a quello dell’abisso sociale fra ricchi e poveri e a quello della corruzione dei quadri del partito, che usano la politica del figlio unico per intascare tasse e beni.
La suddetta legge dovrebbe essere una misura di prevenzione, se si considera che il Paese è stato soggetto più volte a inondazioni e carestie e, così facendo, si garantisce la sopravvivenza di tutti i componenti, essendoci un minor numero da sfamare. Inoltre si controlla la crescita demografica, problema tuttora preoccupante, calcolando il miliardo e 300 milioni di abitanti.
Tuttavia la politica cinese del figlio unico è una lenta tragedia umana, non solo perchè mina la possibilità di sviluppo futuro del Paese, ma è anche la causa della mancanza di manodopera e di una società sempre più vecchia. Tra il 2005 e il 2030 i giovani tra 15 e 24 anni diminuiranno del 20%, mentre ci sarà un aumento di chi ha più di 50 anni. Per il 2030 si prevede un raddoppio di chi ha oltre 65 anni.
In alcune province della Cina sono comiciate le proteste e gli scioperi: i manifestanti sono per la maggior parte famiglie costrette a pagare le tasse per i figli avuti e non consentiti dalla legge, che sono stufi delle quote imposte anche con la violenza. Si parla di case distrutte, mobili e vari beni confiscati e addirittura alcune donne sono state costrette ad abortire al nono mese di gravidanza per contenere la quota di nuovi nati che il governo assegna ad ogni città annualmente.
Una donna cinese di Shanghai, Mao Hengfeng, ha subito torture per non aver rispettato la politica del figlio unico e ha scontato 18 mesi di lavori forzati, oltre alla “rieducazione attraverso il lavoro”. Nel 1988, infatti, la donna aveva avuto il suo secondo genito e per questo aveva perso il lavoro. In seguito aveva intentato una causa per far valere il suo diritto al lavoro, ma era rimasta incinta per la terza volta e, presi accordi con il giudice, il quale le aveva promesso di farle riavere il lavoro, aveva acconsentito all’aborto, ma era stata nuovamente condannata. Purtroppo esistono moltissime storie come questa e anche molti casi di bambini “di nessuno”, che non vengono registrati per non pagare la tassa, improponibile per molti e destinati, quindi, a “non esistere”.
L’Accademia cinese delle scienze sociali, per evitare tutto ciò, chiede di abolire la politica del figlio unico e chiede la sostituzione con una politica dei 2 figli.
Se tale legge non dovesse essere appovata, ai poveri cinesi non resta altro che pregare la dea Guanyin, che allevia le sofferenze terrene e dispensa fertilità e sperare di avere 2 gemelli, unico modo per avere 2 figli senza pagare la tassa.
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