sabato 30 novembre 2013

Giappone


Avendo studiato cinese ed essendo il Giappone quasi considerato "il nemico" da noi sinologi per motivi storici e culturali, non mi aveva mai affascinato più di tanto. In effetti, influenzata da questo retaggio e dai pregiudizi, non avevo mai pensato di andarci.
Ora pero, vivendo a Taiwan, punto strategico geograficamente parlando, la voglia di visitare tutta l'Asia e' diventata quasi patologica e nella mia lista dei desideri avevo aggiunto anche il Giappone. Ma sì - ho pensato un bel giorno guardando la carta geografica - bisogna andare a spiare "l'avversario", vedere com'è.
Che poi i taiwanesi non lo considerano affatto tale, nonostante i 50 anni di dominio, anzi lo venerano e lo copiano. Per i cinesi e' tutt'altra storia, ma non sto qui a parlare di questo adesso.
Ebbene sì, devo ammettere che il Giappone mi ha positivamente colpito e confesso, facendo forse un torto alla Cina, che mi e' piaciuto molto.
Tutto è al proprio posto, ordinato, pulito, persino intonato al resto che lo circonda e questa visione così netta e lineare delle cose l'ho trovata molto rilassante per gli occhi e per la mente (cosa che non succede in Cina, dove spesso l'approssimazione, il kitch e il caos, che regna sovrano in ogni sua forma, creano una tale confusione anche psicologica).
La cura del dettaglio, poi, è estrema, tanto da dare un senso di finzione a volte. La foto sotto, per esempio, è una vetrina di una pasticceria e quegli oggetti che sembrano giocattoli di gomma colorata sono invece pasticcini buonissimi.


Sono rimasta molto colpita anche dall'eleganza della gente e degli anziani in particolare. Le donne sono molto femminili e vestono in maniera molto raffinata. Ogni capo che indossano, ogni accessorio è di qualità e lo si vede da chilometri. Tutti i colori sono abbinati armoniosamente, niente stona.
E' incredibile vedere quanta bellezza estetica ci sia in ogni cosa. I templi di legno, le case minuscole, gli oggetti, gli abiti, le stoffe, il cibo, le piante, tutto è dove deve essere ed è piccolo.
La bellezza trova la sua dimensione nella piccolezza e nella semplicità.
Non so se ci vivrei in un posto così, mi sembra più adatto ad essere guardato che vissuto.
E così come l'ambiente sembra finto tanto è piacevole agli occhi, altrettanto sembrano finte le persone che ci abitano.
Non nascondo che spesso ho avuto l'impressione di trovarmi in un cartone animato, reduce degli anni '80-'90 dove Licia e Marrabbio e tanti altri personaggi giapponesi scandivano le mie giornate con le loro storie disegnate.

Nessuno parla inglese o forse, pur conoscendo la lingua, fingono di non saperla per paura di sbagliare, quindi è stato difficilissimo districarsi nei meandri della complicatissima metropolitana.
Se chiedi un'informazione per strada, raramente sanno risponderti, ma ti ringraziano e si inchinano anche se non hanno spiaccicato una parola. Non ti chiedono "scusa", ma ti dicono "grazie", ovviamente in giapponese.
Abbiamo visto molte persone, soprattutto giovani, indossare i vestiti tradizionali e girare per le vie di Kyoto felici di farsi scattare foto dai turisti, così che sembra sempre Carnevale!


Ci si può imbattere anche in finte geishe, col viso bianco di cerone e le labbra rosse a cuoricino, che posano per servizi fotografici o semplicemente vanno in giro indisturbate, ma ci hanno spiegato che le vere geishe escono solo di notte e non si fanno fotografare. Noi siamo riusciti a beccarle una sera passeggiando tra le viuzze della città e abbiamo scattato una foto furtivamente.


Bellissime ed eleganti, con passo svelto per non farsi vedere, sgattaiolavano in un locale per intrattenere i clienti con canti e danze tradizionali.
La vera geisha non è una prostituta, come tanti credono, ma un'esperta nelle arti dell'intrattenimento, quali danza, canto, musica, cerimonia del tè e abile nell'arte di conversare, che diventa tale solo dopo anni di studio con una maestra e dopo un grande investimento economico sia per gli studi che per l'acquisto degli abiti tradizionali fatti di stoffe pregiate e costosissimi. Non è possibile fotografarle o toccarle e non si esibiscono per un vasto pubblico, ma per pochi intenditori.
A Kyoto abbiamo dormito nei cosiddetti ryokan, alberghi tradizionali giapponesi costituiti da camere con pavimenti di tatami, dove i letti, chiamati futon, sono costituiti da materassi sottili e morbidi arrotolati durante il giorno e srotolati la sera, finestre scorrevoli di legno e carta di riso e bagno esterno. Le camere sono vuote e prive di qualsiasi abbellimento, ma fornite solo dell'essenziale.


Dopo questo viaggio e questa piacevole scoperta, ho capito che è vero sì che il Giappone ha assimilato molte cose della cultura cinese, essendo quest'ultima più antica, ma ha saputo conservarle e proteggerle, oltre che rielaborarle in maniera molto intelligente, mentre la Cina ha distrutto e continua a farlo in nome del Dio denaro.

giovedì 17 ottobre 2013

Agopuntura & Co.


Non e' la scena di un film dell'orrore, né una forma di tortura. Si tratta semplicemente di agopuntura, una tecnica terapeutica della medicina cinese tradizionale le cui origini risalgono a circa 4 mila anni fa. Questa utilizza l'inserimento di aghi in varie parti del corpo con lo scopo di stimolare alcuni punti specifici, riequilibrando l'energia qi 气 che scorre all'interno e lo yin 阴 (principio femminilie) e lo yang 阳 (principio maschile). Infatti, quando l'equilibrio tra questi due principi si altera, hanno inizio le malattie.
Al contrario della nostra medicina allopatica che tratta e cura il sintomo, la medicina cinese tradizionale va a curare la radice del malessere, lo squilibrio che ha procurato la patologia.
Si utilizzano gli aghi che, in alcuni casi, vengono collegati ad un elettrostimolatore (a sinistra nella foto) che produce una leggera scossa elettrica, in modo da stimolare maggiormente i punti interessati. Questa a grandi linee la filosofia dell'agopuntura e la sua metodologia.
Io ho sempre odiato le iniezioni e gli aghi in tutte le loro funzioni e la comare Flora (la vicina di casa addetta alle punture) si ricorderà ancora delle mie urla, quando, posseduta dal demonio, cercavo di scampare alla sorte che mi avrebbe puntualmente visto sconfitta e immobilizzata dalle grinfie degli adulti, con il povero sedere per aria a sottoporsi a quella indicibile barbarie della puntura. Poi sono cresciuta e la fobia ora fa la guerra con la curiosità patologica che mi contraddistingue, mista forse ad una sana dose di masochismo che mi spinge a fare delle cose che avrei sempre creduto impensabili. Così ho deciso di sottopormi anch'io a questa pratica non proprio piacevole, anche perchè voglio provare sulla mia pelle gli effetti della medicina cinese.
Purtroppo non posso fotografarmi mentre il mio corpo è infilzato con gli aghi, ma vi dico che, in base ai miei disturbi, mi vengono "posizionati" sulle gambe, piedi, braccia, polsi, testa e orecchie.
Sì, quelli sulla testa e nelle orecchie fanno un po' senso e anche un po' male, ma resisto.
Ci vado 3 volte a settimana per adesso e dopo una prima visita in cui il dottore (che sembra quasi un mago) ti controlla la lingua, gli occhi e il battito di entrambi i polsi, si decidono i punti da stimolare in base al problema che si ha.
Perchè il tutto abbia più effetto (hanno capito anche loro che sono un osso duro), hanno pensato bene di darmi anche delle erbe schifose e chissà quali altri ingredienti sconosciuti (ali di pipistrello, sangue di unicorno e lacrime di coccodrillo....) macinati e dal gusto vomitevole, che definire fango è dire poca cosa. "Prenda la medicina 3 volte al giorno con dell'acqua,  è come bere il caffè (segue risatina dell'infermiera) e lo prenda ogni giorno per circa 3 mesi". Per 3 mesi?
Ieri, ad una delle mie sedute di agopuntura, ero stesa sul mio lettino, le tendine rosa tirate (perchè gli altri pazienti non ti vedano e tu non veda loro altrimenti rischi una sincope vedendo aghi infilzati in qualsiasi parte del corpo, persino sulle palpebre!!!), la musica classica in sottofondo, il vociare tranquillo delle infermiere e io me ne stavo tranquilla in compagnia dei miei aghi pensando a cosa avrei cucinato per cena, cosa avrei fatto il giorno dopo, etc. Passano 15 minuti, poi mezz'ora, 45 minuti, 1 ora, ma sembrano essersi scordati della straniera infilzata sul lettino n.2. Comincio a sudare, non posso muovermi, perchè ad ogni irrigidimento del muscolo corrisponde dolore nel punto in cui c'è l'ago. Guardo il soffitto, la luce a neon, oddio, mi gira la testa... e se all'improvviso ci fosse un terremoto? Cosa si fa in questi casi? Tutti scappano e ti lasciano così inerte e inerme? E se ti viene un attacco di panico?? - Oh mamma, mi gira tutto, ecco, lo so, adesso mi verrà-, ho pensato. Poi ho fatto dei bei respiri profondi e in quell'istante è arrivata l'infermiera a togliermi gli aghi. Finalmente ero salva.

P.S.= La signora nella foto era seduta di fronte a me ieri.




martedì 1 ottobre 2013

Chi non muore si rivede


Dopo mesi di silenzio e oblio, Asiamonamour ritorna per un saluto. Un po' stanca e provata da questo infinito viaggiare, ma ancora attiva.
Ebbene, torno per dirvi che non ho abbandonato il blog e non sono morta.
Ci sono ancora e sono appena tornata a Taipei dopo un viaggio interminabile, la cui parte piu' lunga e faticosa e' stata la tratta Brindisi- Milano.
Scusate se vi ho lasciato così senza preavviso in Malesia, ma in questi mesi ho vagato per altri luoghi non asiatici e non volevo "tradire" l'Oriente con racconti occidentali.
Il tempo di smaltire il fuso, di acclimatarmi e riposarmi e torno a parlare e vaneggiare.
Saluti afosi taiwanesi a tutti!

venerdì 19 aprile 2013

Malesia mon amour

Se Singapore e' un concentrato di mondi variegato benestante e forse un po' snob, la Malesia, in quanto stesso crogiolo di popoli e culture differenti, ne e' la versione proletaria. Qui regna un' umanita' piu' povera ma piu' vera, piu' autentica, che vive insieme in quel caos tropicale, affresco tipicamente asiatico.
Passeggiando per le vie di Kuala Lumpur mi e' sembrato di vedere il mondo intero.
Donne arabe in niqab (il velo nero che lascia scoperti solo gli occhi) dallo sguardo nero come la pece, donne indiane dai sari colorati, americani sovrappeso in pantaloncini e t-shirt, cinesi, turchi, malesi, certamente, e chi piu' ne ha piu' ne metta.
E' la prima volta che visito un Paese musulmano, ma qui ho avuto l'impressione che ci fosse piu' apertura e liberta'. L'ho visto nelle donne, che non hanno l'obbligo di indossare il velo e sono libere di vestirsi all'occidentale e l'ho visto nei loro sorrisi vanitosi e nelle loro chiacchiere complici. Molte ragazze indossano i jeans e il velo colorato che tiene coperti solo i capelli, lasciando ben visibile tutto il viso spesso molto truccato. Molte altre lasciano scoperti i capelli. Anche in questo caso, qui sembra che ognuno sia quello che vuole essere e tutta la gente porta con se' e rispetta le proprie tradizioni e abitudini originarie.
(Almeno, questo e' quello che ho avuto modo di osservare e dedurre dai pochi giorni tarscorsi in Malesia e non posso certamente affermare che la situazione sociale e culturale malese sia priva di quei problemi impliciti nelle culture patriarcali e maschiliste).
Sono rimasta colpita e affascinata dai villaggi Malay, piccoli agglomerati di coloratissime abitazioni tipiche malesi in legno massiccio (tek o ebano), sollevate da terra probabilmente per le inondazioni, frequenti in questi posti. Qui la vita sembra essersi fermata e si respira un'aria di pace e tranquillita' lontana dal caos che attanaglia le citta'.


I locali sono gentilissimi e accoglienti, tutti salutano e ti chiedono dove vai per darti informazioni spesso in un inglese british da fare invidia! Si fermano a chiacchierare per praticare l'inglese e per sana curiosita'.
Gli uomini, ma anche le donne (soprattutto le anziane), indossano i sarong: stoffe dalle svariare fantasie, drappeggiate in vita e portate come gonne. Questi teli di cotone hanno molteplici usi e, oltre che come abbigliamento, vengono usati anche come asciugamani, tovaglie o come arazzi sulle pareti.




Kuala Lumpur, con le sue torri simbolo, le Petronas Twin Towers, e' un po' una giungla di macchine, moto, gente di tutte le provenienze possibili e immaginabili e dove e' quasi impossibile passeggiare a piedi per le vie del centro a causa dell smog che ti entra nelle narici e ti brucia le vie aeree, ma che nasconde piccoli gioielli segreti come alcuni villaggi Malay, oltre a monumenti storici di grande bellezza. Il Palazzo del Sultano Abdul Samad e' uno di questi, con le sue cupole ramate ricorda atmosfere da "Mille e una notte"; i palazzi coloniali decadenti che conservano il fascino del passato e di vecchie storie; i quartieri indiano e cinese, micromondi autentici e tanto altro.



Mi e' piaciuta molto anche Malacca, cittadina storica che fu il maggior porto commerciale del sud-est asiatico e dove i domini portoghese, olandese, britannico e cinese ne hanno contaminato l'architettura, un mix di stili straordinario. La citta' nel 2008 e' stata inserita dall'Unesco tra i patrimoni dell'umanita'.


Dopo tutto questo vagare ed esplorare instancabile, ci siamo concessi una pausa di relax su un'isoletta, Pangkor Island, nella parte ovest della Malesia.

Qui le scimmie la fanno da padrone. Sono ovunque e addirittura bisogna chiudere bene finestre e porte per evitare che entrino dispettose a rubare qualcosa! Se non fosse per loro, che rendono l'isola una pattumiera a cielo aperto, poiche' rubano le buste della spazzature e le aprono sugli alberi provocando una pioggia di rifiuti difficile da contenere, il posto sarebbe un'oasi di pace!

La Malesia mi e' piaciuta molto ed e' stato triste lasciarla, come quando si saluta una vecchia amica con la consapevolezza che tante cose non sono state fatte insieme e che forse non la si rivedra' piu'. Ma chissa', la mia vita e' sempre cosi' imprevedibile e magari il buon vento mi ci portera' ancora una volta prima o poi.


domenica 24 marzo 2013

L'India a Singapore

Approfittando del Capodanno Cinese e delle vacanze piu’ lunghe e tanto attese da queste parti, mi sono concessa un viaggio. Anzi due, Malesia e Singapore.
In effetti  Taipei e’ un buon punto di partenza, posizione strategica per andare facilmente in giro per l’Oriente e questa parte del pianeta e’ un concentrato di mondi, un mix favoloso di etnie e di culture.
Come in Malesia e a Singapore, appunto.
In questo post pero' non descrivo i due Paesi in generale (lo faro' piu' avanti), ma una cosa che mi ha colpito particolarmente: l'India a Singapore. 
Ecco, se il tuo sogno e’ andare in India, vedere i colori di questa terra magica, respirare gli odori d’incenso che esalano dai templi induisti e ti trovi a Taiwan, non serve andarci davvero, che da qui dista come dall’Italia! Basta andare a Singapore, molto piu' vicino, e sara’ la stessa cosa. Ed io in India sogno di andarci da tempo, quindi questo primo insolito "assaggio" a Singapore, e' stato una sorta di piacevole introduzione.
Questa piccola citta’- Stato, regno della perfezione, dove niente e’ lasciato al caso, ma tutto e’ controllato da un ordine ben preciso e da una dittatura “soft”- come la chiamano- e’ un crogiolo di culture diverse che convivono pacificamente tra loro. Cinesi, malesi, indiani, ma anche stranieri occidentali e tanti altri gruppi etnici vivono serenamente insieme e liberi di professare il proprio credo, pertanto non e’ difficile trovare a pochi metri di distanza fra loro una moschea, una chiesa e un tempio.
Io, da sempre affascinata dall’India e dalle donne indiane (complici i romanzi e le storie che leggo sin da ragazzina), ho prenotato un albergo proprio a Little India, perche’ volevo almeno “spiare” questo mondo e, con mia sorpresa, non si trattava solo di qualche negozietto indiano sparso qua e la’, ma di un vero e proprio microcosmo indiano concentrato in un quartiere.


Uomini imbellettati  e profumati che vanno al tempio per la preghiera del mattino, baracchini che vendono corone di fiori per Ganesh e immagini di Shiva,  saloni di bellezza per i tatuaggi con l’henne’ su mani e piedi e future spose emozionate e intente a scegliere i disegni piu’ belli. Gioiellerie stracolme di persone che comprano oro, quell’oro giallo che si abbina cosi’ bene alla loro pelle.
 Ristorantini e bancarelle di cibo che solo passarci accanto ti stimola l’appetito. Odori di spezie e colori dappertutto.
Anche durante una giornata di pioggia (e a Singapore gli acquazzoni tropicali sono all’ordine del giorno), che renderebbe grigia e uggiosa qualsiasi altra citta’, Little India sembra un campo fiorito a primavera, un’esplosione di colori che ti accende gli occhi e l’anima.
Ma c’e’ una cosa che mi attrae piu’ delle altre, che mi lascia incantata: la vista dei sari  stupendi  e svolazzanti  indossati dalle donne indiane. 


Ecco, secondo me non esiste abito piu’ elegante e sensuale di questo.
Qualsiasi donna, anche non bellissima, indossandolo diventa cosi’ gradevole, cosi’ infinitamente affascinante.
Il sari e’ un concentrato di femminilita’ e le sue stoffe di svariati materiali e colori, raccontano antiche storie di donne forti (questa la mia visione un po’ romanzata, forse, ma voglio immaginarle cosi’).
E’ forse l’indumento piu’ antico ad essere stato tramandato sino ad oggi e quasi tutte le donne lo indossano ancora. Questa  stoffa raffinatissima lunga alcuni metri  si porta avvolta intorno ai fianchi e drappeggiata su una spalla. Viene indossato con un corpetto molto corto che lascia scoperta la vita.
Nonostante la nostra cultura del fashion, la moda italiana, quella francese e tutte le invenzioni e conquiste della nostra societa’, come la minigonna, il sari resta, secondo me,  l’indumento piu’ sexy che una donna possa indossare.
E se non fosse che io sono salentina e che farei ridere i polli, lo porterei con molto piacere.

giovedì 7 marzo 2013

Panico

Brutto cominciare un post con questo titolo, ma il mio cervello e' in panne e incapace di elaborare frasi troppo complicate.
Una quarantina di minuti fa e mentre ero seduta non vi dico dove, cosi', senza preavviso, la terra ha cominciato a tremare e questa volta pareva piu' capricciosa e incavolata del solito.
Altre volte era stata piu' garbata ed educata. Si era mossa, ma in silenzio, facendo "semplicemente" e quasi elegantemente oscillare ogni cosa.
Chissa' perche', oggi non era di buon umore e ha fatto anche un gran frastuono: tutto si muoveva bruscamente, i piatti, le padelle e ogni oggetto ballavano rumorosamente, riuscivo a sentire anche il concerto di piatti della vicina e l'unica cosa in grado di fare, come sempre, e' stato andare in salotto e guardarmi intorno con gli occhi sgranati e in cerca del nemico, dopo qualche secondo aprire la porta d'ingresso e aspettare sotto quella che credo sia una trave portante. Credo. Tutto questo con i capelli a carciofo, una magliettina slabrata e in mutande. Insomma, una scena che non vorrei mai vedere dall'esterno.
Ci hanno detto piu' volte che quando la terra comincia a tremare con movimenti oscillatori, quindi da destra a sinistra, non c'e' problema, si tratta di scosse di assestamento. Ma quando si muove up and down, beh, e' a quel punto che bisogna temere per la propria vita.
Ecco, appunto, oggi.
Ha cominciato con un bel movimento sopra e sotto, tipo Tagada' (una giostra molto famosa nel nostro paesello salentino), per poi scemare in un'oscillazione piu' leggera.
Inutile stare a descrivere il panico, la paura folle, quella paura atavica verso la natura che puo' ogni cosa, anche perche' questa volta la terra pareva non voler finire la sua danza e al 10' piano non e' stato molto divertente. Tra l'altro e' durato piu' del solito, una manciata di secondi che sembrano interminabili e che possono annientare ogni cosa. Ti senti disarmato come una formica che gira indifesa su se stessa sotto i piedi di migliaia di persone.
"Per fortuna qui sono organizzati, palazzi antisismici e accortezze di ogni tipo, non come in Italia!"- ci consoliamo con questa frase, ma la paura non conosce conforto.
Dopo questi minuti di terrore, metto un paio di jeans, le scarpe (istintivamente prendo anche i passaporti) e vado giu' in ascensore. Insomma, tutto cio' che non bisognerebbe fare, ma restare a casa e aspettare un eventuale altro terremoto mi sembrava troppo stupido!
Al piano terra incontro una signora con un neonato, che si ferma a chiedermi se abito la' e da dove vengo. Io le rispondo e le dico che sto andando fuori perche' ho sentito il terremoto e ho paura. Lei mi dice che ce n'e' stato uno davvero forte nel 1999 (il piu' devastante, che ha fatto migliaia di morti), dice che questo non era preoccupante, di stare tranquilla e di tornare a  casa.
Lei intanto scappava fuori con la sua bambina.

venerdì 1 febbraio 2013

Paese che vai, matrimonio che trovi

Ogni posto ha le sue tradizioni, le sue credenze, le sue abitudini ed e' questa diversita', questa unicita' che  rende tutto cosi' interessante e affascinante, in barba alla maledetta globalizzazione, che ci vuole spersonalizzare e anonimizzare!
Proprio per questa mia curiosita' e attrazione patologica per il diverso, ho accettato con molto piacere di partecipare al matrimonio del fratello di un amico taiwanese, pur avendolo visto solo una volta (ma si sa, anche per loro "lo straniero" e' motivo di fascino e avere due bianchi al proprio matrimonio fa piu' chic!).
La cerimonia si e' tenuta in una citta' a sud di Taipei, tra Nantou e Taizhong, zona diventata tristemente famosa per il terremoto del 1999 che distrusse molti palazzi e causo' tantissime vittime. Potete quindi immaginare come la notizia del luogo dove si sarebbe svolto il matrimonio - dopo un entusiastico "si', volentieri, grazie!", si sia tramutata in un piu' accorato "ah, ecco!".
In ogni caso, la curiosita' e' piu' forte di qualsiasi paura, quindi io e Igor prendiamo il treno e in seguito l'autobus alla volta di CaoTun, questo il nome del paese.
Arrivati, l'accoglienza e' ammirevole, come in ogni posto in cui sia andata in Asia e i taiwanesi sembrano particolarmente dotati di buone maniere e gentilezze.
I nostri amici ci portano subito a casa a fare le presentazioni e, prima di entrare, lasciamo le scarpe sull'uscio, dove ce ne sono decine e decine, tutte appartenenti agli invitati, nonche' parenti degli sposi.
Le case taiwanesi sono diverse da quelle cinesi, vuoi perche' il loro stile di vita e il clima sono diversi, vuoi perche' la precarieta' della loro vita, resa tale dai disastri naturali, li costringe in un certo senso a costruire abitazioni provvisorie, vuoi perche' il concetto di casa come nido, come rifugio, per loro e' un optional, visto che passano il 90% del loro tempo in ufficio.
Nonostante questo stile un po' freddo e dal gusto assolutamente non ricercato, in cui spesso gli interni sono accozzaglie di roba polverosa o magazzini, una cosa che non manca mai sono gli altari dedicati agli dei e agli antenati e per questi sono disposti a spendere cifre esorbitanti, assoldando virtuosi artigiani e falegnami.

Questo a sinistra e' quello che si trova nella prima stanza della casa del nostro amico e quasi tutti sono situati nella stanza che da' sulla strada, oppure all'ultimo piano. Di sera, passeggiando per le vie della citta', la luce rossastra dei lumini a fiore di loto (i nostri lampini rossi nei cimiteri), che filtra dalle finestre, e' un po' inquietante devo dire. Di fronte all'altare e' sempre posizionato un tavolo dove sono posati i fiori e le offerte ai morti, che vanno dal cibo fumante appena preparato alle caramelle, dai dolcetti alla frutta, etc.
Entrati in questa prima stanza, dove i taiwanesi passano la maggior parte del tempo ed equivalente al nostro salotto, abbiamo conosciuto tutti i parenti e dopo inchini, saluti e sorrisi smaglianti, tutto e' culminato nel miglior modo per far sentire a casa gli ospiti:
mangiare! Come in Cina, anche a Taiwan, tutto si risolve intorno a una tavola imbandita di ogni bendidio (in realta' anche in Salento funziona cosi').
Dopo la cena, andiamo con i nostri amici e i loro cugini in un night market a rimangiare (non capisco come facciano a mangiare in continuazione, questo resta un mistero per me, sono un pozzo senza fondo!), mentre le donne della famiglia vanno dal parrucchiere a farsi le acconciature per l'indomani.
A mezzanotte andiamo in albergo a dormire, anche perche' ci aspetta una lunga giornata, pensiamo.
Cosi', sveglia alle 7. Appuntamento fuori alle 8.
Io e Igor eleganti, come si usa da noi, ma a quanto pare qui non funziona cosi', perche' la gente era vestita in modi assurdi: chi come se fosse appena tornato dalla palestra, chi dopo il mare, chi dopo la montagna, chi in tenuta da  faccende domestiche, chi come se avesse preso un po' di roba dall'armadio a occhi chiusi, insomma, un'accozzaglia di colori, di stili, di tessuti per "temperature" diverse.
Andiamo di nuovo a casa del nostro amico a fare colazione e di nuovo inchini, saluti, sorrisi e tanto cibo. Mangiamo in fretta e furia, perche' la sposa e' quasi pronta e sta per cominciare la cerimonia.
A differenza nostra, qui a Taiwan (e anche in Cina) il matrimonio vero e proprio e' sancito in comune, al momento della registrazione con le firme (tipo la nostra Promessa), ma avviene in solitaria. Quindi niente chiesa, niente templi buddhisti o altri luoghi di culto.
Andiamo quindi in albergo, dove si trova la sposa (che ha passato qui la notte) insieme ai genitori (in questo caso era presente solo la madre, perche' il padre e' venuto a mancare qualche anno fa). Insieme a loro anche amici, la testimone e alcuni parenti. Lo sposo arriva nella camera d'albergo con il mazzo di fiori, le da' il bouquet, la saluta e comincia il rito. La madre e' seduta sul divano e gli sposi si inginocchiano e si inchinano piu' volte chiedendo la sua benedizione. La madre tocca la loro testa in segno di assenso e si commuove.

Questa parte mi ha un  po' emozionato, perche' ho pensato alle spose cinesi antiche dei miei libri che in questo momento, si staccavano veramente dalla famiglia e trasportate sulla portantina, andavano a vivere a casa del marito insieme ai suoceri, alla totale dipendenza e sottomissione degli uomini della famiglia e non potevano rivedere la propria per lungo tempo.
Ma questa e' un'altra storia...
In seguito gli sposi vanno in auto, tirata a lucido e addobbata, a casa dei genitori di lui a chiedere la loro benedizione questa volta e ad onorare gli dei e gli antenati davanti all'altare.
Alla fine il rito termina con il passaggio nella nuova casa degli sposi, dove li attendono gli altri parenti e dove la sposa, prima di varcare l'uscio, dovra' sottoporsi ad alcune prove.
All'arrivo l'attende una fila di petardi rossi, che col loro rumore servono ad allontanare gli spiriti malefici e la cattiva sorte.
Nel tragitto dall'auto a casa, la sposa e' accompagnata dal marito, due bambini che le indicano la strada e una donna che la scorta e le tiene sopra la testa un ampio cerchio di bambu' (anticamente era un velo rosso, chiamato fengguan, che serviva a proteggere la sposa dalla sua timidezza e dagli spiriti maligni che in questo modo non potevano vederla).
la sposa protetta dal fengguan di bambu'

Prima di entrare, deve oltrepassare un braciere contenente il fuoco. Questo rappresenterebbe il superamento degli ostacoli e il lasciarsi alle spalle la sfortuna, non permettendo di entrare in casa. Dopo il rito del fuoco, la sposa rompe con il piede una mattonella di terracotta, anche questo a simboleggiare la distruzione del male e della cattiva sorte.
Infine, una volta varcata la soglia della nuova casa, lo sposo da' da mangiare alla sposa i tangyuan 汤圆, delle palline di riso glutinoso in una zuppetta, la cui pronuncia e' simile a tuanyuan 团圆 (riunione, ricongiungimento) e simboleggia l'unita' della famiglia.


I vestiti degli sposi sono quelli classici occidentali, ma la sposa durante la festa porta altri abiti da sera. A differenza della Cina, a Taiwan la donna non indossa come primo abito il qipao, l'abito rosso tradizionale.
Dopo i suddetti riti, si va al ristorante, dove si svolgera' la festa vera e propria.

Nella sala c'e' un palco, sul quale gli sposi, in bella vista, passano la maggior parte del tempo e si alternano giochi, scherzi, musica e discorsi, spesso nel totale disinteresse degli invitati, impegnati a mangiare (tanto per cambiare).
Riti e simbologie a parte, tutto sembra svolgersi piu' o meno come in ogni matrimonio che si rispetti, se non fosse che a un certo punto gli invitati, finito di pranzare, si alzano e in un marasma totale di buste e bustine raccolgono tutti i resti del banchetto (persino solo il brodo di alcune pietanze!), le bottiglie di vino e le altre bibite avanzate e, con disinvoltura e con l'aria iper soddisfatta vanno via, senza nemmeno salutare gli sposi.

Io e Igor ci guardiamo esterrefatti e un po' smarriti, ridiamo perche' ci sembra tutto cosi' ridicolo. In fondo anche questo e' il bello di vivere all'estero: stupirsi continuamente.
Paese che vai, matrimonio che trovi.
Evviva gli sposi!


giovedì 17 gennaio 2013

Trema la terra, tutti giu' per terra!

Ed ecco che ci risiamo.
Dopo la bella vacanza natalizia in Salento, dopo il sole, il mare e le polpette della nonna e dopo aver lavorato molto su me stessa per convincermi che forse non e' il caso di avere nostalgia della mia terra, che' in fondo e' un posto bello ma maledetto dove la gente perde il lavoro e la dignita', dove si muore di cancro per colpa del potere, dove i giovani non hanno piu' speranze, dove... dove... dove... (la lista e' molto lunga) e che Taipei, al contrario, e' il luogo ideale dove vivere con la sua efficienza, civilta', educazione e tranquillita', ecco che ritornano loro a spaventarmi e a farmi desiderare piu' di ogni altra cosa al mondo che un aereo supersonico mi riporti a casa mia: i terremoti, quei maledetti.
Non e' facile abituarsi alle scosse e, pur avendone sentite parecchie sino ad ora, ogni volta e' come la prima volta, un po' come il vero amore.
Panico allo stato puro e blocco totale, vampate e sudore freddo mi pervadono e mi rendono incapace di intendere e di volere. Nonostante ci istruiscano che la prima cosa da fare sia aprire la porta d'entrata (nel caso in cui le assi dovessero cedere e bloccare la via di fuga), poi mettersi sotto una colonna portante (quali saranno a casa mia???), possibilmente stare vicino a un frigorifero (da cui attingere acqua e cibo nel caso in cui dovessi ritrovarti vivo sotto le macerie per giorni), etc. etc., nonostante tutto cio', io resto immobile con gli occhi sgranati, inebetita e in apnea.
E pensare che una mia amica, che mi ha subito contattato per sapere se avevo sentito "il mostro sotterraneo", mi ha confessato che nonostante la paura paralizzante, lei trova molto affascinante il fatto che la terra viva, respiri, si muova e tremi. Terribilmente affascinante, ha detto. Affascinante o meno, in questo momento credo che il teletrasporto sarebbe l'unica cosa a rendermi davvero felice.

i punti rossi e arancioni mostrano dove sono avvenuti i terremoti negli ultimi 2 giorni

mercoledì 2 gennaio 2013

Oceano


Piu' dei terremoti e dei tifoni, l'oceano mi fa rabbrividire perche' ha voce.
Sono andata di notte in spiaggia a Hualian, sulla costa orientale di Taiwan, e ho avuto paura.
Ho sentito la voce terribile dell'oceano Pacifico.
Come un mostro respirava e il suono che veniva fuori dalla sua gola profonda e infinita ogni volta che le onde si infrangevano sugli scogli era quasi crudele. Era come una bestia ferita e arrabbiata.
Sentivo la sua potenza incommensurabile, la sua grandezza, la sua ferocia e mi sentivo piccola e insignificante. Chissa' come si sentono i granelli di sabbia...
E' immenso, infinito, enorme e quell'ululato, quel boato sono impressi nella mia mente.
Odio l'oceano, ha un carattere che detesto. E' un prepotente.