giovedì 31 marzo 2016

Di una foto e di mille ricordi

"Vi sono cento porte per entrare in India, ma nemmeno una per uscirne" - Ferdinand de Lanoye

Non posso che confermare la veridicità di questa frase.
Paradossalmente te ne rendi conto quando ci esci, quando vai via, perché l'India va digerita e questo processo digestivo e`un po' come quello del cammello, lentissimo.
Quando sei li`non hai tempo per pensare, per rielaborare, per cristallizzare i pensieri, perché i tuoi occhi sono impegnati a guardare, il tuo naso a odorare, la tua bocca a gustare, le tue orecchie a sentire, le tue mani a toccare. Tutti i sensi sono occupati in questo vortice di sensazioni.
L'India e`un viaggio sensoriale. L'India si sente.
Si sente come uno schiaffo tirato all'improvviso, perché stordisce. Si sente come una carezza che lenisce. Ma quando sei li`non lo sai, perché schiaffi e carezze arrivano inaspettatamente con una velocissima alternanza che ti lascia inebetito.
L'India ti rilassa, ti calma. L'India ti stanca, ti succhia le energie e poi te le restituisce moltiplicate. E quando te ne vai sei quasi sollevato di tornare alla tua normalità fatta di cose scontate, di immagini e sensazioni che conosci.
Sinché non la digerisci.
Di solito questo succede quando sei già tornato.
Ed ecco che e`troppo tardi.
Io sono impigliata nelle sue reti. E`il canto delle sirene che ammalia, e`una dolce e piacevole nostalgia. Ed e` difficile tradurre razionalmente quello che ho provato, perché e`troppo, troppo intenso, tutto insieme. Forse ho bisogno di tempo per ricomporre il puzzle delle mie impressioni, che sono sparpagliate da qualche parte nella mia mente senza un senso apparente.
Mi ritrovo spesso a pensare all'India. Sfoglio le foto scattate durante il viaggio, chiudo gli occhi e cerco di sentirne le voci, la musica per strada, gli odori e gli umori, così mi sembra di essere più vicina.
Ieri, spulciando tra le migliaia di foto, ho trovato questa.
Scattata a Pushkar, e`uno scorcio dei palazzi che si specchiano nelle acque del lago sacro, dove nuotano petali di fiori gettati come offerta.
Io ho girato la foto al contrario e trovo che vista da quest'altra prospettiva rifletta un po' la mia immagine personale dell'India. Sfumata.
Liquida.
Fluttuante.
Intensa.
Fragile.
Effimera.
Immaginaria.
Dolceamara.
Non l'ho scattata io, ma e`a mio marito che ne va il merito, il quale, ignaro o consapevole, ha colto un'immagine di estrema bellezza, delicatezza e poesia.

mercoledì 23 marzo 2016

Occhi grandi occhi belli


Varanasi, sulle rive del Gange. Occhi grandi Occhi belli voleva vendermi a tutti i costi un'offerta di fiori e candele per il fiume sacro. Era li`che mi fissava e, piagnucolante, cercava di convincermi a comprarne una. Si spostava ad ogni mio passo e mi seguiva come la mia ombra. Ma io l'avevo già presa e l'avevo già offerta alle acque. E poi volevo che mi seguisse, che stesse ancora un po' con me, per poterlo fotografare, per immortalare la sua bellezza e portarmela via. Lui rideva, continuava a pregarmi di prendere quel benedetto cestino e mi appiccicava addosso quello sguardo rotondo ed enorme, così profondo da annegarci dentro. Stavo per cedere, quando apro la borsa per prendere i soldi e mi ricordo di avere dei biscotti al ciccolato. Gli do quelli al posto delle monete e cio` che viene dopo e` l'apoteosi della felicita`. Credo di non aver mai visto la felicita`sul volto di un bambino espressa in maniera così pura e semplice. Gli occhi si allargano, si riempiono, si illuminano come fiamma, si arricciano come stelle, le pupille si dilatano come macchie d'olio e un sorriso bianchissimo e accecante nella notte scura gli si disegna sul viso. Dopo avermi detto il più bel "Grazie" della mia vita, scappa via con il bottino e dei soldi e delle offerte non gli interessa proprio un bel niente. 
Lo fotografo mentre si gode quella dolcezza, mostrandomi tutto il suo apprezzamento e la sua gratitudine.
D'altronde avrebbe dovuto dare i soldi a suo padre, quale goduria per lui, solo carta straccia! Ma quei deliziosi biscotti col cuore morbido di cioccolato se li ricorderà tutta la vita e, chissa`, forse si ricorderà anche di me. 
Occhi grandi occhi belli. Occhi truccati, occhi fatati.

"Un bambino è la forma più perfetta di essere umano"
Vladimir Nabokov



venerdì 11 marzo 2016

"Intreccerò la mia tristezza"

"Mia nonna diceva che quando una donna si sentirà triste, quello che potrà fare è intrecciare i suoi capelli: così il dolore rimarrà intrappolato tra i suoi capelli e non potrà raggiungere il resto del corpo.
Bisognerà stare attente che la tristezza non raggiunga gli occhi, perché li farà piangere e sarà bene non lasciarla posare sulle nostre labbra, perché ci farà dire cose non vere. 
Che non entri nelle tue mani – mi diceva – perché tosterà di più il caffè o lascerà cruda la pasta: alla tristezza piace il sapore amaro.
Quando ti sentirai triste, bambina, intreccia i capelli: intrappola il dolore nella matassa e lascialo scappare quando il vento del nord soffia con forza.
I nostri capelli sono una rete in grado di catturare tutto: sono forti come le radici del vecchio cipresso e dolci come la schiuma della farina di mais.
Non farti trovare impreparata dalla malinconia, bambina, anche se hai il cuore spezzato o le ossa fredde per ogni assenza. 
Non lasciarla in te, con i capelli sciolti, perché fluirà come una cascata per i canali che la luna ha tracciato nel tuo corpo.
Intreccia la tua tristezza – mi diceva – intreccia sempre la tua tristezza.
E domani, quando ti sveglierai con il canto del passero, la troverai pallida e sbiadita tra il telaio dei tuoi capelli". 
Paula Klug, scrittrice messicana

Ho sempre avuto i capelli lunghi e da piccola mi sottoponevo al rituale della treccia, che mia madre e mia nonna, con mani esperte, eseguivano ogni mattina e ogni sera prima che andassi a dormire, tra la mia insofferenza e i miei piagnistei. Se mi avessero raccontato questa storia, io ci avrei creduto e il supplizio sarebbe stato meno penoso. Nonostante questo pero`, non ho mai smesso di farmi la treccia e adesso che sono grande ed altrettanto esperta me la faccio da sola, ogni volta penso a questo racconto.
Ora con una nuova consapevolezza intreccio i miei capelli meticolosamente, catturando granelli di malinconia e briciole di amarezza, perché e` vero che poi la tristezza sbiadisce e, mesta, se ne va; basta intrappolarla da qualche parte. 
In India ho visto trecce lunghissime e nerissime, custodi di chissà quali segreti. 
Mi chiedo se le donne indiane conoscano questa storia...
Nel Palazzo di Udaipur, India