mercoledì 14 settembre 2016

Caro Tiziano


Terzani in Cina, 1979 © Archivio Tiziano Terzani. Tutti i diritti riservati.


Caro Tiziano,

e` in un pomeriggio di pioggia che ti scrivo, dalla mia casa taiwanese che guarda le montagne ammantate di fitta vegetazione come le tue dell’ Orsigna, ma su longitudini diverse.
Piove a dirotto e questa pioggia stuzzica la nostalgia, così ti penso e scrivo due parole, quelle che avrei voluto dirti quando eri ancora “a giro” in questo mondo, ma te ne sei andato troppo presto e sono rimaste a fluttuare nella mia mente fino ad ora, giorno del tuo compleanno.
Settantotto anni fa venivi al mondo con occhi stropicciati e con lo sguardo corrucciato misto di curiosità. Almeno e`così che ti ho immaginato io.
Era un mercoledì. Come oggi. 
Segno zodiacale: vergine. Come me. Ne riconosco il dubbio e l’inquietudine latenti, che portano alla smania di cercare. E di capire. O di cercare di capire.
Ti ho scoperto per caso un pomeriggio cocente di luglio di dodici anni fa, uno di quelli in cui non riesci a dormire perché il calore ti cucina il cervello e l’inaspettato invito di un amico ad andare a bere un caffe`con ghiaccio in riva al mare arriva come una manna dal cielo. 
Il baretto, piccolo e vecchio, vende anche un paio di giornali e qualche libro impolverato. Mentre attendo il mio caffe`, mi avvicino allo scaffale e prendo in mano l’unico libro rosso con la copertina rigida, attratta dal titolo. Lo compro subito con i pochi spiccioli rimasti. E` il tuo “Un indovino mi disse”, un’edizione economica che ben presto e` diventata la mia guida di viaggio e di vita. In quel periodo studiavo il cinese all’università e l’Asia era già parte di me. 
Pochi giorni dopo tu lasciavi il tuo corpo, come amavi dire. 
Qualche anno dopo, lo lasciava anche il mio amico. 
E io rimanevo con un mucchio di ricordi e con uno scaffale pieno di tuoi libri, perché in seguito li ho comprati tutti. Li ho divorati, sono stati la linfa che mi ha tenuto in vita nei momenti di sconforto, sono stati i viaggi che non potevo ancora fare, a volte sono stati la fiammella che mi ha permesso di sperare in un’altra vita possibile quando quella che stavo vivendo non mi rendeva felice. 
Ho parlato tanto di te al mio amico. Negli ultimi giorni di quella maledetta malattia che ha portato via anche te, mi chiedeva spesso di parlargli dell’India. Spero che i tuoi libri gli abbiano in qualche modo insegnato a morire. Tu dicevi che di fronte alla Bellezza del mondo, all’abbraccio della Natura, dinanzi a tutto questo la nostra esistenza è una piccolezza, è lo starnuto di una formica e queste tue parole hanno reso più lieve anche a me il peso della perdita.
Non ho mai avuto idoli o guru nella mia vita e tu sei stato per me come un nonno, magari quello che non ho mai conosciuto e che oggi avrebbe avuto più o meno la tua eta`. 
Mi hai raccontato la favola vera della tua vita e di quella degli altri e io ti ho ascoltato con occhi sgranati e orecchie grandi di bambina, spesso ripercorrendo gli stessi tuoi passi e sognando gli stessi tuoi sogni. Senza saperlo. Perché lo abbiamo fatto in epoche diverse, ma accomunati dalla stessa passione. Mi sono sempre riconosciuta nelle tue storie, nei tuoi pensieri. 
Sei stato la voce che non ho avuto e le parole che non sono riuscita a dire. 
Abbiamo studiato il cinese, abbiamo vissuto in Cina, il Paese che più abbiamo amato e che più ci ha deluso, proprio come solo un grande amore sa fare. Ed entrambi abbiamo trovato una sorta di sollievo nell’India, una panacea al dolore per l’ inesorabile scomparsa di quella magia asiatica del Diverso, l’unica prerogativa alla vera ricchezza e alla libertà. Perché, invece, in quel posto assurdo che e` l’India, tutto e` ancora possibile: convivono una miriade di culture diverse, ognuna con il suo dio e questa spiritualità trasuda, si sente, si respira. Forse e`questo ciò di cui avremmo tutti più bisogno. Se riuscissimo ad eludere il concetto riduttivo di un solo dio che ci guarda e ci giudica e riuscissimo a vederlo in ogni cosa, in ogni essere vivente, perfino in noi stessi, chissà, magari avremmo più rispetto della vita.
Mi hai insegnato a guardare sempre al mondo con altri occhi e a cercare la verità, le mie verità, senza abboccare all’esca dei pregiudizi e degli stereotipi. Cercare, cercare sempre per comprendere. Studiare per capire, per tollerare. “Tolleranza”, quanto e`bella questa parola che il mondo pare aver dimenticato!
Mi hai insegnato a non accontentarmi di una vita che mi sta stretta. E come un nonno che ti indica i primi passi, a volte sei stato la spinta sul ciglio di un burrone che mi ha costretto a spiegare le ali per non precipitare. Perché si può, un’altra via e` possibile, bisogna solo darsi una mossa ed essere artefici del proprio destino e del proprio cambiamento. 
Come per te, viaggiare e` il mio modo di vivere. Viaggio spinta dalla fame di vedere, dalla sete di conoscere, da una curiosità che diventa quasi patologica e non riesco a fermarmi. Non voglio fermarmi. Perché io ho trovato nel viaggio la mia pace, la mia cura, il mio tutto. 
E come dici tu, ognuno deve cercare a modo suo il proprio cammino.
Grazie per l’amicizia preziosa dei tuoi libri, compagni delle mie avventure. 
Grazie per questo tuo messaggio che e`davvero un inno alla diversità, alla possibilità di essere quello che vogliamo.


Teresa                                                              



(Trovate questo mio pezzo anche sul sito Mangia Vivi Viaggia